Vi aspettiamo sul divano

Pensavano non fossimo medici, han scoperto che esistiamo. Ci han definito eroi e dopo due mesi ci han sputato in faccia dandoci degli assassini.
Ci chiedono di rinunciare alle ferie, di lavorare di più ma pagati di meno.
Voi pensate che ciascuno di noi abbia ricevuto 1000€ per ogni paziente covid visto da lontano, chissà quale aumento sullo stipendio e le vacanze pagate alle Fiji. La verità é che prima e dopo covid non é cambiato nulla, siamo ancora qui a lavorare come prima per lo stesso stipendio, solo più stanchi.
Ma guadagnare come (o meno) di un idraulico facendo il medico pare sia giusto, maledetti provilegiati che avete studiato 12 anni per arrivare dove siete!
Adesso in Italia vogliono formare dei rianimatori in 2 mesi, in Francia degli OSS in 15 giorni, degli infermieri di rianimazione in 48 ore.
Ragazzi bene.
Ma perché non vi curate direttamente da soli, così risparmiate in avvocati e ci lasciate vivere in pace? Noi siamo in debito di un lockdown, vi aspettiamo sul divano, no problem.

Mi hanno dato dell’angelo, mi hanno dato del diavolo…

Io non volevo scrivere ciò che state per leggere; ci ho pensato per qualche giorno, ho provato a resistere ma non ce l’ho fatta quindi l’ho scritto ma con fastidio e disagio, come quando hai il cagotto e sei in discoteca. Avete presente le discoteche? Quelle dove si va a ballare? Ah no?! Ah non si può? …
Tornando a ciò che stavo dicendo, alla fine ho partorito quanto segue: mettetevi comodi che a sto giro”la tocco piano”.
Come il pessimo sequel di un brutto film la famigerata seconda ondata è arrivata. Ce la siamo voluta, l’abbiamo cercata, si è fatto di tutto per averla ed alla fine l’abbiamo ottenuta! Complimenti vivissimi. Certo, sarebbe arrivata comunque ma l’estate del”non ce ne sono coviddi”ci ha presentato il conto facendola iniziare un po’ prima e tutta di colpo (di nuovo), con tutto l’autunno e l’inverno davanti! Applausi a noi! Leggi tutto “Mi hanno dato dell’angelo, mi hanno dato del diavolo…”

Gli eroi muoiono

Gli eroi muoiono

Partire dalla mia Sicilia per stare accanto ai colleghi della Lombardia è stata una delle esperienze più forti e destabilizzanti della mia storia professionale e privata. Nella mia regione non abbiamo vissuto la quantità di casi ma abbiamo vissuto la realtà della malattia e della solitudine .
Vivo in una terapia intensiva da 26 anni e mai mi ero ritrovata a guardare in faccia il mio limite umano e professionale,gli occhi dei pazienti che ,quando si svegliavano,avevano paura sconforto . Loro non sapevano chi io fossi non avevano idea del mio viso delle mie mani del mio calore
Ma guardavano i miei occhi e capivano che ero li per loro
ma non per me, lo so è brutto dirlo, avrei voluto essere altrove a dar sfogo alla mia paura al mio sconforto, ma non potevo.
Avrei davvero votuto far capire a tutti il motivo delle mie lacrime senza motivo, avrei voluto far capire al mondo che stava a casa a fare le pizze che io li combattevo col mostro invisibile e che faceva paura esattamente come tutto ciò che è sconosciuto e mortale. Oggi a settembre nessuno si chiede più come stanno “gli eroi” se la notte dormono se mangiano se sbottano al primo fastidio se stanno relegati a casa se hanno fatto le vacanze”a Malta in Sardegna in Grecia”
Nessuno se lo chiede ma lo dico io
NO sono fermi ai mesi di febbraio e marzo a cercare di mettere insieme i pezzi di quel vaso rotto.
Noi ci siamo c’eravamo e ci saremo, ma vorrei non avere riconoscimenti ma essere riconosciuti!!!!
Che la politca viva di smemoratezza ne ero convinta e non so nemmeno se valga la pena urlare ai sordi!!! Ma di una cosa sono certa rimettero’ insieme i cocci e continuerò ad andare in quel posto chiamato Limbo ad essere più forte.

Abbiamo combattuto quel nemico, purtroppo non sempre riuscendo a vincere

Mi ricordo bene quel giorno in cui si iniziò a parlare dei primi casi di Codogno, salì subito la mia preoccupazione. In poco tempo, come una furia, il covid prese il sopravvento e tra i nostri pazienti, in pronto soccorso, davvero in pochi risultavano negativi alla tac. Non dimenticherò mai quei corridoi stracolmi di persone: lo spazio non bastava mai, le barelle, le sedie in ogni dove, i pazienti che non respiravano, la coda delle ambulanze, le sirene dei codici rossi. Quei corridoi diventarono ben presto il nostro incubo peggiore, ed ancora adesso capita di sognarseli, perché a volte la notte ancora non si dorme. Il Covid segna e ha lasciato un brutto segno sia agli ammalati sia a chi prestava loro assistenza. Iniziammo poi anche noi infermieri, medici ed oss ad ammalarci, uno dopo l’altro. Quando iniziai io a stare male, dopo l’ennesimo brutto turno in pronto soccorso, mi provai la temperatura: 38,5. “Ecco, ci siamo” pensai. Le lacrime iniziarono a scendere, la paura mi sovrastò in un attimo. Io, che ero sempre stata così attenta: doppi, tripli guanti, tutona, cuffia, calzari, maschera ffp2. Sempre meticolosa nella vestizione ed ancora di più nella svestizione. Ma non era bastato, difatti esito del tampone positivo. Più di tre settimane a casa, ma grazie a Dio, ho sempre respirato da sola, al contrario di tanti miei pazienti. In quelle settimane provai a metabolizzare tutto quello che stava accadendo, ancora non volevo credere che fosse successo davvero, non potevo sopportare l’immagine di tutte quelle persone star male ed essere sole, lontane dai proprio cari. Non potevo accettare il ricordo impresso dei parenti che accompagnavano il proprio famigliare e che sulla porta del triage dovevano salutarlo, in pochi attimi, forse per l’ultima volta. Non potevo, ed ancora oggi non riesco ad accettare tutto ciò che questo dannato Covid ha provocato. Noi sanitari, vi assicuro, abbiamo dato il massimo, spesso con il nodo alla gola, con le lacrime agli occhi e con il cuore infranto. Abbiamo combattuto quel nemico, purtroppo non sempre riuscendo a vincere. Non capisco come possa esserci gente che continui a negare quello che è successo, quello che è stato è quello che continua ancora ad essere. Forse vi sarebbe bastato passare un minuto del vostro tempo al mio fianco, dentro al pronto soccorso, lungo quei corridoi, che non dimenticherò mai, fatti di sofferenza, pieni di rabbia, stracolmi di covid.

Eravamo angeli

Ieri eravamo eroi… angeli ….superuomini e superdonne che hanno dedicato ore e giorni della loro vita per curare e prendersi cura di altri uomini e altre donne più sfortunati di loro.
Abbiamo lottato con le unghie e con i denti, ma soprattutto con il cuore per afferrare le braccia di chi stava cadendo nel baratro.
Regione Lombardia è stata più colpita di altre, le province di Bergamo e Brescia con i loro morti e la loro dignità nella sofferenza ci hanno trovati senza più lacrime.
Turni massacranti, posti letto creati dal nulla, pazienti ventilati a mano nei reparti medici con mezzi di fortuna , ambu, va e vieni e l’acqua di Lourdes.
Così siamo arrivati al 1° Agosto 2020 e oggi non siamo più nulla o meglio, siamo gli stessi di prima, medici ed infermieri di Terapia Intensiva che continuano a curare e prendersi cura.
Svuotati di energia, cerchiamo di ritrovarla a poco a poco e speriamo nel futuro, ma… Leggi tutto “Eravamo angeli”

Non illudiamoci

I mesi in cui abbiamo vissuto e lavorato col Covid come nemico invisibile ma dalle conseguenze estremamente evidenti e concrete, sono stati un periodo che sembrava interminabile, una situazione nuova e mai vissuta, a tratti surreale, senza intravedere una fine.
Ho lavorato con la paura per me e i miei famigliari di ammalarsi e di perdere persone care.
Ho visto situazioni agghiaccianti: persone sole in ospedale davanti al loro destino sconosciuto e famigliari a casa che erano impotenti di fronte a questa situazione con scenari quasi di guerra!
Lavorare così è stato, oltre che stancante fisicamente, psicologicamente devastante.
Amici e colleghi che si ammalavano e dovevano stare a casa.
Eppure abbiamo affrontato tutto questo come siamo stati capaci…
Adesso mi sembra di poter respirare un pò più libera… ma non illudiamoci e speriamo che, se dovesse ripresentarsi una situazione simile, di essere almeno più preparati.

Ricordare, rielaborare, ringraziare…

Sono stati solo due mesi, ma per quanto intensi sono sembrati una vita, sono passati in fretta, ma quando eravamo lì sembravano non passare mai e spaventati ci chiedevamo (dentro ognuno di noi perchè dirlo a voce alta avrebbe fatto troppa paura) se quella sarebbe diventata la nostra nuova normalità.
Vorremmo raccontarvi la fatica, le corse matte per allestire nuovi letti e trovare materiale, l’ansia di affrontare qualcosa che non conoscevamo e per il quale non sapevamo se c’era una speranza, le centinaia di mascherine indossate che ti soffocano, ti spaccano il naso, ti solcano il viso, le mani secche screpolate dai saponi e dal lavarle venti vote al giorno, i turni interminabili, la sete, il non poter bere e come era bello buttare giù una bottiglia tutta d’un fiato una volta usciti, il sentirsi chiusi in una bolla surreale isolati dal resto dell’ospedale ma anche dal mondo intero come se si fossero creati degli universi paralleli dove il tempo scandito non bastava mai. Leggi tutto “Ricordare, rielaborare, ringraziare…”

Date parole al vostro dolore altrimenti il vostro cuore si spezza

Quando penso al periodo appena trascorso mi viene in mente la frase di William Shakespeare che dice: ‘Date parole al vostro dolore altrimenti il vostro cuore si spezza’.

Il dolore, la paura, il senso di fragilità hanno pervaso le nostre menti in questi mesi. Un microscopico essere non visibile a occhio nudo ha stravolto le nostre vite.

Da questa pandemia ci siamo risvegliati tutti più fragili e indifesi.

Mi chiamo Michela Marca e sono la Coordinatrice Infermieristica della Rianimazione Centrale dell’Azienda Ospedaliera di Padova.

Ho iniziato la mia avventura col Coranavirus il 21 febbraio. Quel giorno ero a casa ad assistere mia mamma e sono stata chiamata. Avevo fatto un breve tragitto in scooter dalla casa di mia madre alla mia e nel giro di 15 minuti, tanto era il tempo trascorso, avevo ricevuto una decina di telefonate in tutti e due i telefoni: aziendale e privato. Leggi tutto “Date parole al vostro dolore altrimenti il vostro cuore si spezza”

Dati mancanti

I nostri pazienti li abbiamo conosciuti soprattutto attraverso i loro referti: diari clinici, verbali di PS, esiti degli esami… Come specializzande in Anestesia e Rianimazione all’inizio del percorso di formazione, il nostro compito in questa emergenza è stato soprattutto quello di raccogliere i dati dei pazienti Covid ricoverati in terapia intensiva.

Un frammento alla volta abbiamo cercato di ricostruire le tappe della loro battaglia contro il virus. Un lavoro lungo, perché lunga e indescrivibilmente faticosa la battaglia che questi pazienti hanno dovuto combattere. Il nostro modo di essere al loro fianco è stato quello di essere il più scrupolose possibile nel raccogliere tutti i dati che la scheda del progetto di ricerca richiedeva. Non volevamo farci sfuggire niente: da questi dati poteva arrivare un contributo per l’identificazione di una cura. Era necessario fare in fretta. Corri, domanda, telefona, controlla… scartabella in tutte le vecchie visite, confidando che un infettivologo o un cardiologo (sono precisi loro) avesse specificato nel referto proprio quel dato. Leggi tutto “Dati mancanti”

Quegli sguardi…

Ho lavorato in ICU-COVID per quasi tre mesi. La cosa che più mi ha segnato è stata la perdita di identità che non ha risparmiato nessuno. Noi infermieri, medici, oss e fisioterapisti siamo stati tutti oggetto di omologazione, tutti abbiamo perso il nostro essere unici in quanto tali. Le bardature avevano la terribile capacità di azzerare i tuoi tratti distintivi. Molti di noi avranno vissuto il dramma di non riconoscere gli altri e di non essere riconosciuti… il virus aveva rapito anche la nostra unicità. Quel taglio di capelli, quelle movenze, quei sorrisi… tutto barbaramente abortito. Nessuno dei tratti distintivi che hai sempre riconosciuto negli altri era più disponibile, tranne uno: il taglio degli occhi. E allora gli occhi diventano improvvisamente il nostro biglietto da visita, il nostro mezzo di identificazione, la nostra interfaccia con il mondo relazionale. Quanto è stato bello capire gli occhi, sviluppare la capacità di riconoscimento ed intesa attraverso il solo sguardo. Porterò per sempre con me gli sguardi di quei colleghi, così straordinariamente ricchi di emozioni. Riscoprire la potenza degli occhi in quegli sguardi è stata un’ esperienza salvifica.