Gli eroi muoiono

Gli eroi muoiono

Partire dalla mia Sicilia per stare accanto ai colleghi della Lombardia è stata una delle esperienze più forti e destabilizzanti della mia storia professionale e privata. Nella mia regione non abbiamo vissuto la quantità di casi ma abbiamo vissuto la realtà della malattia e della solitudine .
Vivo in una terapia intensiva da 26 anni e mai mi ero ritrovata a guardare in faccia il mio limite umano e professionale,gli occhi dei pazienti che ,quando si svegliavano,avevano paura sconforto . Loro non sapevano chi io fossi non avevano idea del mio viso delle mie mani del mio calore
Ma guardavano i miei occhi e capivano che ero li per loro
ma non per me, lo so è brutto dirlo, avrei voluto essere altrove a dar sfogo alla mia paura al mio sconforto, ma non potevo.
Avrei davvero votuto far capire a tutti il motivo delle mie lacrime senza motivo, avrei voluto far capire al mondo che stava a casa a fare le pizze che io li combattevo col mostro invisibile e che faceva paura esattamente come tutto ciò che è sconosciuto e mortale. Oggi a settembre nessuno si chiede più come stanno “gli eroi” se la notte dormono se mangiano se sbottano al primo fastidio se stanno relegati a casa se hanno fatto le vacanze”a Malta in Sardegna in Grecia”
Nessuno se lo chiede ma lo dico io
NO sono fermi ai mesi di febbraio e marzo a cercare di mettere insieme i pezzi di quel vaso rotto.
Noi ci siamo c’eravamo e ci saremo, ma vorrei non avere riconoscimenti ma essere riconosciuti!!!!
Che la politca viva di smemoratezza ne ero convinta e non so nemmeno se valga la pena urlare ai sordi!!! Ma di una cosa sono certa rimettero’ insieme i cocci e continuerò ad andare in quel posto chiamato Limbo ad essere più forte.

Abbiamo combattuto quel nemico, purtroppo non sempre riuscendo a vincere

Mi ricordo bene quel giorno in cui si iniziò a parlare dei primi casi di Codogno, salì subito la mia preoccupazione. In poco tempo, come una furia, il covid prese il sopravvento e tra i nostri pazienti, in pronto soccorso, davvero in pochi risultavano negativi alla tac. Non dimenticherò mai quei corridoi stracolmi di persone: lo spazio non bastava mai, le barelle, le sedie in ogni dove, i pazienti che non respiravano, la coda delle ambulanze, le sirene dei codici rossi. Quei corridoi diventarono ben presto il nostro incubo peggiore, ed ancora adesso capita di sognarseli, perché a volte la notte ancora non si dorme. Il Covid segna e ha lasciato un brutto segno sia agli ammalati sia a chi prestava loro assistenza. Iniziammo poi anche noi infermieri, medici ed oss ad ammalarci, uno dopo l’altro. Quando iniziai io a stare male, dopo l’ennesimo brutto turno in pronto soccorso, mi provai la temperatura: 38,5. “Ecco, ci siamo” pensai. Le lacrime iniziarono a scendere, la paura mi sovrastò in un attimo. Io, che ero sempre stata così attenta: doppi, tripli guanti, tutona, cuffia, calzari, maschera ffp2. Sempre meticolosa nella vestizione ed ancora di più nella svestizione. Ma non era bastato, difatti esito del tampone positivo. Più di tre settimane a casa, ma grazie a Dio, ho sempre respirato da sola, al contrario di tanti miei pazienti. In quelle settimane provai a metabolizzare tutto quello che stava accadendo, ancora non volevo credere che fosse successo davvero, non potevo sopportare l’immagine di tutte quelle persone star male ed essere sole, lontane dai proprio cari. Non potevo accettare il ricordo impresso dei parenti che accompagnavano il proprio famigliare e che sulla porta del triage dovevano salutarlo, in pochi attimi, forse per l’ultima volta. Non potevo, ed ancora oggi non riesco ad accettare tutto ciò che questo dannato Covid ha provocato. Noi sanitari, vi assicuro, abbiamo dato il massimo, spesso con il nodo alla gola, con le lacrime agli occhi e con il cuore infranto. Abbiamo combattuto quel nemico, purtroppo non sempre riuscendo a vincere. Non capisco come possa esserci gente che continui a negare quello che è successo, quello che è stato è quello che continua ancora ad essere. Forse vi sarebbe bastato passare un minuto del vostro tempo al mio fianco, dentro al pronto soccorso, lungo quei corridoi, che non dimenticherò mai, fatti di sofferenza, pieni di rabbia, stracolmi di covid.