Sono medico, anestesista rianimatore, ora dalla parte di chi deve stare a casa per limiti di età e condizioni famigliari. Guardo allo sforzo dei colleghi con rimpianto per non essere anch’io con loro; li osservo con compiacimento gratitudine orgoglio per quello che sanno fare, ma anche con un senso di colpevolezza per non essere in prima linea. Devo limitarmi ad un supporto a distanza fatto da varie manifestazioni di solidarietà (donazioni, chat, preghiera…) per loro che sono là: medici, infermieri, addetti alle pulizie ed alle pratiche amministrative, operatori dell’emergenza di tutti i settori. Da casa riesco ad immaginare la trasformazione del mio Ospedale secondo le necessità, vedo i singoli reparti ed il percorso dei colleghi chiamati in P.S., lo spogliatoio luogo di sfogo e di chiacchiere, vedo i volti di tanti colleghi e leggo la reazione di ognuno agli eventi, come fossero qui davanti a me. Sento in me la loro ansia, l’ansia di chi deve decidere, la difficoltà dei rapporti con i parenti, lo sforzo delle scelte terapeutiche ed organizzative, l’angoscia nell’affrontare la morte che beffardamente ci vince e porta via persone come fossero cumuli da smaltire. Sento in me la stanchezza dei colleghi, la tensione mentale e fisica, l’esasperazione per un turno che non accenna a finire, l’urgenza che arrivi il cambio e conceda un attimo di tregua, il nervosismo e la rabbia per un collega con cui non si è riusciti ad intendersi, vivo la delusione umana e professionale difronte ad una feroce pandemia che non da tregua. Vivo come se fossi lì con loro. Ma sono qui a casa, ligia alle regole sperando che questo serva davvero e ci accomuni nello sforzo di andare avanti con la vita. Per quelli che ci hanno lasciato spero e prego che la solitudine e la coscienza della morte imminente non sia troppo grave, che nella tragedia si insinui anche un filo di speranza di vita eterna, in pace, lontani ma per sempre legati ai propri cari. Per chi resta, per chi continuerà ad affrontare la pandemia spero ardentemente che non prevalgano dolore rabbia e stanchezza, ma nella tristezza del momento si trovi un po’ di consolazione e di forza guardando i risanati, i guariti, gli occhi grati di chi torna a casa; si trovi un po’ di pace nel necessario riposo fisico e mentale che l’affievolirsi della pandemia dovrà riservare a tutti. Si possa poi insieme trovare un perché di tanto strazio e dolore cercando fiduciosi un nuovo stile di convivenza nel mondo, non solo nella nostra città, nella nostra regione, nella nostra nazione, nel nostro continente, ma nel mondo.
Siamo ora nella cosiddetta fase 2. Non credo, non mi illudo che poi saremo tutti più buoni, come ora ci raccontano i media. Però forse saremo maggiormente in grado di stabilire priorità, di pensare e ponderare bene quello che facciamo e diciamo, ricordando che se riusciamo a stare tutti bene stiamo anche tutti meglio. E sarebbe già secondo me un gran passo avanti.