Marzo 2020

Ho lo stesso nome di mio nonno, spero di averne lo stesso destino. Entrambi mandati in guerra: lui a 16 anni (classe 1899), io a 36 (classe 1983).
La guerra di trincea di cui mi parlava non è molto differente da quella che vedo in corsia: lontani dalle nostre famiglie, impreparati e con un nemico invisibile davanti.

Un nemico di cui tutti parlano ma che nessuno conosce davvero, un virus che mi ha strappato alle mie giornate, facendo di uno scafandro di plastica la mia nuova terribile divisa.
Una seconda pelle, che monto pezzo per pezzo, mentre smonto ogni certezza delle mie giornate.
Le settimane che passano sembrano abbiano il solo compito di vederci cambiare: con il naso rotto, la faccia segnata e le orecchie tagliate assomigliamo ogni giorno di più agli stessi pazienti che cerchiamo di rubare all’oblio delle liste della protezione civile.
Per questo, per difendere chi è fuori, ci siamo barricati dentro. Con noi abbiamo portato ricordi e speranze, deboli fondamenta quando ti crolla il mondo addosso, decesso dopo decesso.
Il dramma è proprio questo: lavorare oltre le proprie possibilità, rischiando la vita, senza poi poter rivedere in piedi tante, troppe, di quelle anime che sediamo per sempre.
Vite che passano attraverso le nostre parole lungo i cavi di un telefono che arriva nel cuore dei loro parenti lontani.
Da queste case lontane torna un’eco di speranza, parole di supporto anche per noi. Per la prima volta ho sentito qualcuno dalla nostra parte.
Per i nostri pazienti e per le loro famiglie andremo fino in fondo, perché non può esserci vittoria se non si combatte, anche quando la visiera si appanna, la CO2 sale e la bocca si fa asciutta.
Il Covid ci ha costretto a ripensare a tutto, costringendoci ad una catarsi che parte dal silenzio delle nostre città ed arriva in quello dei nostri basiti pensieri.
Protocollo dopo protocollo, argineremo questo inferno: mio nonno la guerra l’ha vinta e quasi cent’anni dopo mi ha insegnato che dopo il cattivo tempo c’è sempre il sole.
[Pasquale Raimondo, Anestesista – Rianimatore]
“Ho compreso, infine,
che nel bel mezzo dell’inverno,
ho scoperto che vi era in me
un’invincibile estate.
E che ciò mi rende felice.
Perché afferma che non importa
quanto duramente il mondo
vada contro di me,
in me c’è qualcosa di più forte,
qualcosa di migliore
che mi spinge subito indietro”.
(INVINCIBILE ESTATE, Albert Camus)