Sono rientrato al lavoro dopo quasi 20 giorni di quarantena. La situazione è più tranquilla rispetto a quando mi sono ammalato e facevo una notte di guardia dietro l’altra e cominciavo a non capirci più niente. Ora spero solo che si possa tornare tutti alla normalità. Temo però che ci vorrà ancoira molto tempo.
Per molti anni ho lavorato più come anestesista di sala operatoria che come rianimatore. Ho sempre considerato questo lavoro come una magia. I pazienti si risvegliavano dopo ore di intervento e non avevano dolore. “Ma come, dottore,” mi chiedevano stupiti. “È davvero tutto finito? Non mi sono accorto di niente…” Una magia, appunto, e io ero il mago.
In realtà questi pazienti spesso dovevano poi affrontare giorni di degenza, a volte lunghi e dolorosi, e non sempre quanto avevano affrontato era la soluzione definitiva dei loro problemi. Sono sempre stato consapevole di questo ma trovavo utile poter offrire a questi malati un sollievo almeno temporaneo.
In questi giorni, invece, quando la clinica si è riempita di pazienti covid-positivi, con polmoniti bilaterali, il mio lavoro è completamente cambiato. I pazienti erano pazienti fortemente dispnoici, neanche l’ossigeno ad alti flussi era sufficiente ad ottenere saturazioni decenti.
Spesso in sala operatoria i pazienti che addormentavo erano pazienti acuti, molto sofferenti e disperati, ma ogni volta avevo la possibilità di addormentarli velocemente e di risolvere il loro problema. Qui invece le cose erano diverse. Questi pazienti dovevano rimanere svegli. Dispnoici, febbrili, confusi e disperati, gli sistemavamo i caschi della CPAP e le maschere della ventilazione non invasiva e gli chiedevamo di continuare a respirare ma di non agitarsi, di non strapparsi i dispositivi, di rimanere seduti a letto in posizione seduta.
Erano pazienti che arrivavano dal pronto soccorso, o che venivano segnalati dagli infermieri di reparto per improvvisi aggravamenti o ancora pazienti già trattati ma che, dopo ore o giorni, si strappavano ogni cosa e si alzavano dal letto. Ricordo gli sguardi degli infermieri che mi fissavano chiedendomi ogni volta una soluzione e la disperazione dei pazienti che non riuscivano a stare fermi, a respirare efficacemente, a sopportare ancora il casco o la maschera.
Ricordo il Carlo, recuperato in pronto soccorso e a cui ho dovuto applicare un casco di CPAP in velocità. Ricordo la sua angoscia, le parole che mi aveva rivolto, chiedendomi quando tutto sarebbe finito e che cosa sarebbe successo. Ricordo la Clara, una signora anziana e obesa che una notte si sarà staccata il casco almeno dieci volte. Sono intervenuto più volte, chiamato dagli infermieri o a seguito di un mio giro di controllo, dopo essermi liberato di una ennesima chiamata. Ricordo l’Adriano a cui una notte ho cambiato due volte la maschera e variato flussi e concentrazioni più volte nel tentativo di trovare una soluzione. Ricordo Hussein, un giovane extracomunitario, a cui ho dovuto sistemare un casco di CPAP e che mi ascoltava respirando a fatica. Ricordo il Giancarlo che mi stringeva un braccio supplicandomi di non soffrire.
Ricordo che non ero più un mago, non avevo la soluzione alla sofferenza di tutti questi malati. Non potevo addormentarli e, quando anche sono ricorso alla sedazione, l’ho fatto solo con dosi minime, appena sufficienti ad alleviare un poco la loro angoscia, ma lasciandoli comunque svegli ad affrontare lunghe ore di dispnea e di disperazione.
Ad aiutarmi è stato il ricordo di quando ero piccolo e avevo dovuto affrontare una grave polmonite, la febbre altissima che non mi dava tregua e non mi faceva dormire, la necessità di fare delle punture e la mia paura. In quelle ore, tutta una notte lunghissima, sono stato assistito da mia mamma che ha continuato a parlarmi e tranquillizzarmi. Questo è quanto ho cercato di fare, aldilà dei caschi di CPAP e delle maschere della NIV e di tutte le variazioni e decisioni che prendevo.
E ad aiutarmi ancora in tutto questo, in ogni momento, più presenti e assidui di me, ho trovato gli infermieri che con intelligenza, pazienza infinita e tenacia incredibile entravano nelle stanze, più volte in un turno, riportavano i pazienti a letto, gli offrivano da bere, ricollegavano i dispositivi e cercavano di confortare i pazienti assistendoli ogni ora, di giorno e di notte.
I pazienti che si erano agitati per tutta una notte, li ritrovavo al turno successivo ancora collegati ma più tranquilli. Alcuni sorridevano, altri chiedevano e si preoccupavano ma accettavano i trattamenti.
Non tutti questi pazienti sono andati bene. Alcuni sono stati trasferiti in terapia intensiva o in altri ospedali, intubati e collegati a un respiratore. Altri invece hanno continuato a rimanere collegati a un casco e nei giorni successivi riportati in respiro spontaneo e restituiti agli internisti. Poi sono rimasto infettato io e sono dovuto restare a casa ma nelle lunghe ore a letto ho continuato a ricordare quei giorni e quelle notti e il lavoro incessante e tenace degli infermieri. Ecco i maghi, i veri maghi che sono intervenuti a risolvere le situazioni. Grazie, grazie ancora per tutto l’aiuto e l’esempio che mi avete dato e quanto fatto per tutti i pazienti.