Ovest

Il mio amico Federico fa l’ingegnere e fa le foto. Fa un sacco di cose Federico, fa anche l’attore, da un po` si è pure messo in testa di fare il sarto e in questa clausura di quarantena ha fatto le mascherine di stoffa e, come nel suo stile, le ha fatte fighe. Qualche tempo fa ho allestito una piccola mostra fotografica e ho chiesto aiuto a lui e lui mi ha detto “se facciamo questa cosa la facciamo figa!” .

Lui adesso scatta le foto chiuso in casa. Le scatta pensando al punto cardinale verso cui volge lo sguardo più che a quello che guarda. Fotografa una direzione e non una posizione. Una suggestione più che una condizione.

Federico segue la bussola per non perdere la bussola. Le foto, ovviamente, sono fighe.

Giovedì pomeriggio, faccio pomeriggio.

Arrivo sereno, sono riposato, oggi devo fare le anestesie normali ai pazienti normali.

A Ovest c’è una grande vetrata, ce n’è una identica dall’altra parte del comparto operatorio, parecchi metri più in là, a Est.

Da Ovest entra il sole del pomeriggio, è bello e penso a Federico e alle sue foto.

Entrando a Ovest trovo movimento, trambusto, rumore.

Sta cambiando tutto, ancora. Bisogna andare via, finire, pulire, svuotare.

Il pomeriggio passa con il cuore in gola, addormentare, operare e svegliare.

E’ necessario farlo adesso per più pazienti possibile, saranno gli ultimi e poi non ci saranno più interventi, niente più pazienti normali, niente più anestesie normali, non più le consuete straordinarie azioni di ogni giorno.

Il COVID è a Est, dall’altra parte del Muro. E’arrivato, è entrato, si è infilato, allargato, dilatato, ingrandito, ha riempito tutti gli spazi, tutti gli ambienti, i posti letto che prima non c’erano e poi c’erano adesso non bastano più e il Muro non serve più.

Tutte e tutti lavorano, spostano, puliscono, telefonano, entrano ed escono.

Le porte spalancate come mai, i letti, gli apparecchi, gli strumenti, i carrelli, si muovono verso Nord, come grandi animali lenti e pesanti abbandonano il loro territorio in fuga dal fuoco o dall’alluvione o dal terremoto o dalla siccità o da qualsiasi altra cosa spaventosa come questa.

Bisogna svuotare, sgomberare, traslocare, ripulire, allestire, preparare.

Sveglio l’ultima paziente alle 18.30, resta un altro intervento ma non c’è tempo. Non c’è più spazio qui.

Andiamo lì, andiamo via, da un’altra parte, andiamo a nasconderci. In un altro edificio due piccole e ormai vecchie sale operatorie saranno il posto dei pochi pazienti normali rimasti, delle malattie normali, degli interventi normali e delle anestesie normali. Se ancora la parola normale ha un posto questo sarà lì.

Qui tutto sarà COVID, ognuno sarà COVID anche a Ovest.