– Credi in Dio?
– Non lo so.
– Perché dici così?
– Perché muore gente tra le tue braccia ogni giorno. Gente a cui hai promesso la vita, prima di addormentarla. Pazienti che non si sono più svegliati. E ho provato un senso di insuccesso e inadeguatezza.
– Ma tu non sei Dio. Non puoi promettere la vita!
– E quando la Signora canuta di oggi mi ha chiesto di non lasciarla morire? Cosa avrei dovuto fare? Io mi sono accorto che mentre con una mano montavo il respiratore, mi accarezzava timidamente un dito e mi fissava attraverso il casco. Cosa le avrei dovuto dire?
– …
– Le ho dato in mano il suo cellulare, per salutare qualcuno. Se mai lo avesse desiderato.
– Hai fatto bene.
– Mi sono anche accorto dopo qualche minuto che frastornata da quel casco per l’ossigeno, parlava con uno schermo fisso, a cui nessuno aveva risposto. Era spaventata.
– E che hai fatto?
– Le ho stretto la mano e l’ho fissata mentre l’addormentavo. Ho capito che in quel momento io e il suo infermiere eravamo tutta la sua famiglia, l’ombra dei suoi affetti e la sua speranza.
– E lei si sveglierà? Andrà bene?
– Non lo so. Però lo spero. Domani tornerò a visitarla e ritorneremo a combattere insieme. Magari Dio mi aiuterà.
– Allora ci credi in Dio?
– Mah, più che altro, parleremo del caso clinico e mi farò aiutare.