Ho vissuto la mia esperienza con il covid dalla prima ondata e devo veramente dire a distanza di un anno che siamo stati veramente capaci di affrontare una pandemia di questa portata …ricordo la paura il terrore che ci leggevano nei nostri sguardi l uno con l altra ma allo stesso tempo era la nostra forza il nostro sostegno la nostra arma strategica e ce l abbiamo fatta nonostante tutto e tutti a superare quel periodo duro di marzo di un anno fa….improvvisandosi nel vero senso del termine dando aiuto e sostegno ai colleghi meno esperti , strutture improvvisate per letti da terapia intensiva, dpi mancanti carenti riciclati.. ma non vi dico niente di nuovo, tutte situazioni vissute da tanti come me. Leggi tutto “Il bisogno di raccontare un pezzetto della mia esperienza”
Sembra passato un secolo
Sembra che sia quasi passato un secolo da quel marzo scorso, che avrebbe impattato così violentemente sulle vite, professionali e non, di molti di noi. Ero laureata da pochi mesi, e prestare servizio in reparto covid -in maniera particolare in una rianimazione totalmente convertita per trattare questo tipo di pazienti – mi sembrò un atto doveroso, tant’è che abbandonai un impiego totalmente protetto, in tal senso, per gettarmi nella mischia.
L’allora frustrazione, sentimento di inadeguatezza nonché sensazione di essere soltanto un peso per i colleghi maggiormente esperti, erano tuttavia nutriti della speranza di poter dare un contributo significativo nonostante tutto, e riscaldati da un sentimento di unione mai visto prima, che sembrava gremire la professione tutta, proveniente dalla popolazione generale.
I mesi passavano, ed io cambiavo impiego e regione, e dopo 600km e qualche mese mi trovo nuovamente in covid, in un contesto di subintensiva. L’entusiasmo del principio è del tutto scemato, mi trovo solo dinanzi questo inconsolabile senso di vuoto, derivante dal perdere continuamente pazienti nonostante la grossa mole di lavoro infermieristico, nutrito dalle pressioni continue che medici e familiari riversano su di noi. Leggi tutto “Sembra passato un secolo”
Un periodo unico
… Che dire un periodo unico, al di fuori di ogni immaginazione, un uragano che ci ha travolti!!! Ogni giorno abbiamo lottato per i pazienti con un carico emozionale mai conosciuto … abbiamo lottato per una comunicazione fatta di mille difficoltà con i parenti, con le reazioni più svariate degli operatori sanitari al nostro fianco … con la paura ,con le lacrime ,con le ansie ,con le crisi … con reazioni di ogni tipo … un periodo unico che non dimenticheremo mai più che ci ha insegnato l ‘importanza di un abbraccio, di una carezza di un gesto di affetto!!Noi abbiamo fatto squadra e solo questo ci ha aiutato …si devo dire grazie alla mia squadra!!!
Solo contatti a distanza
E’ quasi un anno che stiamo vivendo una pandemia che sta interessando tutti gli aspetti della vita e soprattutto nell’ambito sanitario ha travolto e sconvolto tutto il sistema. In particolare per noi che avevamo avviato un lavoro di ricerca e studio su come migliorare la comunicazione e la relazione con i pazienti e i parenti, ci siamo trovati a dover fare inversione di marcia . Dalla riduzione dell’orario di visita ,al divieto d’ingresso . Solo il contatto a distanza se non telefonico restava l’unico modo per contattare i parenti che preoccupati hanno potuto avere notizie dei loro cari ricoverati in uti. Grande è stato lo sgomento e lo smarrimento di pazienti che ricoverati in urgenza nei reparti di degenza non hanno potuto consigliarsi ed essere supportati anche nelle scelte terapeutiche. Leggi tutto “Solo contatti a distanza”
Natale siete voi. Grazie.
Natale 2020.
…il mio pianto è per voi, infermieri e operatori per la salute: tutti. “Eroi”, “angeli” in primavera, “untori” e da aggredire, già in autunno; con la tragedia montante, ampiamente prevedibile, peggiore della prima, ma troppo ignorata con supponenza ed insofferenza.
Troppa parte di questo paese non vi merita.
Gli avete salvato la vita, con amore e dedizione; vi siete reinventati tecnici, facchini e factotum per rivoltare gli ospedali come calzini e prendervi cura di tutti per quanto possibile umanamente. Avete buttato l’orologio e offerto disponibilità totale.
Riconoscimenti solo orali, tardivi e di breve durata. In molti casi, proprio retorici.
Avete stravolto i vostri corpi, le vite vostre e dei vostri affetti, nel terrore della morte e, fuori, non si intende rinunciare all’aperitivo e si snobba quel po’ di mascherina.
Il mio pianto è per voi, per le vostre lacrime sui morti per cui avete lottato e che avete accompagnato; per il vostro struggimento. Per essere costretti a constatare amaramente – qua fuori – tanta voluta ignoranza della sofferenza umana e tanto, troppo, irresponsabile rischio.
Il mio pianto è per i poveri morti nella solitudine a causa di un sistema sanitario, universalistico, ma picconato dalla insipienza, dalla superficialità, dal disprezzo aprioristico, continuo e pigro dei più.
Adesso altri infermieri servirebbero e, guarda caso, non ci sono; …i respiratori non sono alimentati solo dalla corrente elettrica e il posto-letto non è solo un luogo…
Il mio pianto è per voi, infermieri e operatori che siete morti per prendervi cura di sconosciuti.
La speranza di futuro può fondarsi solo in coloro che credono nel prendersi cura degli altri.
Infermieri e operatori per la salute tutti, questo Natale siete voi. Grazie.
Non abbandonateci.
Gli occhi dei pazienti
In questo periodo l’elemento che fa più male è la consapevolezza negli occhi dei pazienti. Durante questa seconda ondata quando gli comunichiamo dentro quel casco che verranno intubati, i loro occhi sanno già che quel tubo vuol dire solo una cosa: 50% di mortalità. Alcuni te lo comunicano con gli occhi, altri te lo gridano. Un paziente mi ha chiesto che giorno era perchè così avrebbe saputo che quello era il giorno della sua morte. Ho cercato di rinfrancarlo giurandogli che si sarebbe risvegliato ma sapendo in cuor mio che al 50% sarebbe stata una bugia. Dopo l’intubazione 3 giorni dopo si è risvegliato tracheostomizzato e ho scherzato con lui e sulla sua poca fede. Purtroppo dopo 4 giorni (aveva una seria cardiopatia ischemica) è deceduto di infarto. Da quel momento mi viene sempre più difficile farmi coraggio e comunicare con gli occhi a quei pazienti che bisogna credere anche a quel 50% in cui potranno essere presi in giro a vita per la loro titubanza.
In Rianimazione dobbiamo dare noi il colore come fossimo artisti
Mi trovo nuovamente travolta da una realtà che non so’ se riuscirò a fronteggiare come la prima volta, una famiglia da gestire da sola, un marito assente preso dalla sua sfrenata carriera, mai a casa neppure di fronte ad un momento tragico da sopportare per noi Anestesisti/Rianimarori, per sua moglie.
Un sorriso da portare a casa sempre per la serenità che devo comunque dare alle mie bimbe nonostante il disagio e la solitudine che sento dentro alienata da ore di lavoro senza sosta confinata in quelle tute che mi imprigionano e fanno mancare il respiro.
E ora mi trovo a dover fronteggiare tutto da sola perché lui non c’è più il mio amato Primario che con passione e gioia mi aveva sempre sostenuto realizzando insieme tanti progetti. I suoi occhi mi guardano dall’alto ma non riesco a trovare la forza di reagire lui ha deciso di farla finita un giorno ad Agosto è ancora non me ne faccio una ragione, poco dopo la fine della prima ondata.
Senza motivo forse si trascinava dietro la stanchezza della pandemia che ci aveva travolto la prima volta. Ci incoraggiavamo a vicenda. Ma forse non ho fatto abbastanza non mi sono accorta che stava così male. Ed ora mi trovo qui a piangerlo sentendomi sola e non sapendo dove trovare la forza per fronteggiare questa nuova tragica esperienza. Leggi tutto “In Rianimazione dobbiamo dare noi il colore come fossimo artisti”
Quale dolore è più forte? Quello di chi riceve un tremendo e inaspettato pugno in faccia o quello di chi quel pugno l’ha già ricevuto e ne vede arrivare un secondo, senza possibilità di difesa?
Questa sera mi ha chiamato un amico che non sentivo da tempo. Un medico d’urgenza di quelli bravi, noti, che fanno scuola. Vive in un luogo che non è stato colpito dalla “prima ondata”.
Quando gli ho chiesto “Come stai?” mi ha raccontato di una signora che è entrata nella sua saletta in Pronto Soccorso nel pomeriggio, gli ha parlato dalla barella, e dopo mezz’ora era già morta, senza che lui riuscisse a far nulla. Ho avvertito sgomento nelle sue parole. E per un momento ho sentito la sua voce rompersi.
Mi ha ricordato le stesse scene vissute da me e tanti altri a marzo e aprile. Che ricomincio a vivere in questi giorni.
Mi sono chiesto quale dolore sia più forte: quello di chi riceve un tremendo e inaspettato pugno in faccia, come me a marzo e lui oggi, o quello di chi quel pugno l’ha già ricevuto e ne vede arrivare un secondo, senza possibilità di difesa? Leggi tutto “Quale dolore è più forte? Quello di chi riceve un tremendo e inaspettato pugno in faccia o quello di chi quel pugno l’ha già ricevuto e ne vede arrivare un secondo, senza possibilità di difesa?”
Riguardarsi negli occhi
Area arrivi dell’aeroporto.
Varco la soglia di uscita, e li vi vedo: belli, sorridenti, rumorosi!
Mi sento di nuovo libera e al sicuro.
Per un attimo lascio andare i non si può, le preoccupazioni, le raccomandazioni da lontano, il pranzo di Pasquetta in videochiamata, la solitudine, il dolore alle gambe dopo 8 ore in piedi, il freddo glaciale non appena tolta la tuta di tyvek, il segno della mascherina sulla faccia, la paura di non vedervi più, la solitudine, i se, i ma, i forse, i quando si potrà.
Vi corro incontro, gli occhi si appannano e per pochi secondi sono felice e incosciente.
Poi ricordo: non posso abbracciarvi… ma adesso posso guardarvi negli occhi.
Ricordare, rielaborare, ringraziare…
Sono stati solo due mesi, ma per quanto intensi sono sembrati una vita, sono passati in fretta, ma quando eravamo lì sembravano non passare mai e spaventati ci chiedevamo (dentro ognuno di noi perchè dirlo a voce alta avrebbe fatto troppa paura) se quella sarebbe diventata la nostra nuova normalità.
Vorremmo raccontarvi la fatica, le corse matte per allestire nuovi letti e trovare materiale, l’ansia di affrontare qualcosa che non conoscevamo e per il quale non sapevamo se c’era una speranza, le centinaia di mascherine indossate che ti soffocano, ti spaccano il naso, ti solcano il viso, le mani secche screpolate dai saponi e dal lavarle venti vote al giorno, i turni interminabili, la sete, il non poter bere e come era bello buttare giù una bottiglia tutta d’un fiato una volta usciti, il sentirsi chiusi in una bolla surreale isolati dal resto dell’ospedale ma anche dal mondo intero come se si fossero creati degli universi paralleli dove il tempo scandito non bastava mai. Leggi tutto “Ricordare, rielaborare, ringraziare…”