Arrivi al lavoro e dopo il caffè e le chiacchere di rito, ti vesti così.
Non lavori alla NASA e nemmeno a Chernobyl, ma la sensazione è quella.
Superi con i piedi la riga rossa disegnata a terra.
“Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità”, dici tra te e te.
Tutona Bianca, doppio paio di guanti, sovrascarpe , occhiali e mascherina. Caldo e sudore.
Come in fondo al mare con una maschera da sub, senti il tuo respiro. Ti da un ritmo. Sei quasi solo tra gli altri.
Guardi chi ti circonda come se fossi sulla luna nel mare della tranquillità. Rumori ovattati e avvisi acustici.
Pensi improvvisamente che il virus è piccolissimo. É lì.
Pensi che potrebbe passare da qualsiasi buco, ma speri sempre di essere tu a fregare lui e non il contrario.
Fai i prelievi, correggi le terapie, aggiusti la ventilazione. Abbassi la pressione. Guardi la diuresi. Controlli velocemente le flebo e le pompe infusionali. Poi succede qualcosa di nuovo.
Incroci lo sguardo di quella paziente che si sta svegliando. É ancora molto sedata. Pensi che qualcuno ce la fa.
Lo sguardo é come il mio a notte fonda quando mi sveglio tra un sogno e l’altro.
Le sorrido ma la mia bocca non si vede dietro la mascherina. Provo a farlo con gli occhi ma non è il mio forte. Me lo hanno sempre detto tutti. “Non ti sorridono gli occhi”.
Le dico che tutto sta passando. Una carezza sulla fronte ed una pacca sul braccio. Richiude gli occhi.
Passo al successivo paziente. Lui va male. Probabilmente non avrà un futuro. Spero che non sarà così. Deciderà quello più in alto di te cosa ne sarà della sua vita.
Gli occhi bruciano dietro la maschera. Forse è rimasta una pó di candeggina dentro. Mi faccio una risata e dentro di me mi ripeto: “ ci manca solo che il virus mi rovini gli occhi.”
E così tutta la mattina. Tra un pensiero ansioso, una risata interiore e una battuta divertente con l’infermiere di turno accanto a te. Paziente dopo paziente. Ora dopo ora.
Successo dopo insuccesso, insuccesso dopo successo.
A fine turno sto per stimbrare. Mi giro un secondo prima di andarmene. Quella paziente mi sta ancora guardando. Gli occhi ancora assonnati. Le faccio segno col il pollice in su per dirle in silenzio che andrà sicuramente tutto bene. Ora ne sono quasi certo.
A quel punto accenna un fragile sorriso.
Il mio compito per quel giorno é finito. Ho fatto sorridere qualcuno.
Non so come andrà quella paziente. Ma almeno ha sorriso. Un giorno in più.
Un sorriso in più.