Sembra che sia quasi passato un secolo da quel marzo scorso, che avrebbe impattato così violentemente sulle vite, professionali e non, di molti di noi. Ero laureata da pochi mesi, e prestare servizio in reparto covid -in maniera particolare in una rianimazione totalmente convertita per trattare questo tipo di pazienti – mi sembrò un atto doveroso, tant’è che abbandonai un impiego totalmente protetto, in tal senso, per gettarmi nella mischia.
L’allora frustrazione, sentimento di inadeguatezza nonché sensazione di essere soltanto un peso per i colleghi maggiormente esperti, erano tuttavia nutriti della speranza di poter dare un contributo significativo nonostante tutto, e riscaldati da un sentimento di unione mai visto prima, che sembrava gremire la professione tutta, proveniente dalla popolazione generale.
I mesi passavano, ed io cambiavo impiego e regione, e dopo 600km e qualche mese mi trovo nuovamente in covid, in un contesto di subintensiva. L’entusiasmo del principio è del tutto scemato, mi trovo solo dinanzi questo inconsolabile senso di vuoto, derivante dal perdere continuamente pazienti nonostante la grossa mole di lavoro infermieristico, nutrito dalle pressioni continue che medici e familiari riversano su di noi. Intensifichiamo le cure su pazienti il cui compenso è sempre minore, dicendo a noi stessi di aver fatto il possibile, ma mi chiedo, abbiamo fatto il possibile oppure ci siamo aggrappati a questo senso del possibile per non ammettere il fallimento ultimo del non poter salvare tutti? E’ ancora possibile pensare di poter curare, abbandonando tuttavia la velleità del guarire ad ogni costo?
Il limite, disse qualcuno, probabilmente ad un certo punto smette di essere qualcosa entro cui sentirsi costretti, per diventare finalmente una finestra su cui sostare, certo, ma per affacciarsi senza rimpianti. La risposta della tecnica è molto spesso l’unica che conosciamo, l’unica che riteniamo efficace, eppure non può che risultare insignificante difronte al tributo di sofferenza e morte cui assistiamo ogni giorno.