Sono un medico, un anestesista rianimatore. O almeno credevo di esserlo prima dell’arrivo del virus. Ne vengo da un passato di emergenza territoriale e medico di pronto soccorso.
25 anni passati a cercare di salvare il prossimo dalle lamiere di un’auto prima, da un arresto cardiaco poi. Ho intubato, defibrillato e massaggiato non so quante persone nella mia vita. Ho dovuto impersonare la morte centinaia di volte.
Ora il virus ha vinto la mia anima e la mia professione, portandoseli via. Dopo 40 giorni trascorsi a cercare di fare respirare esseri umani malati, condannandone a morte tanti non avendo i mezzi per cercare di salvarli tutti mi sento un gran vuoto dentro. Sono passato dallo sgomento, all’azione frenetica, alla rabbia verso le istituzioni e i superiori e ora sono solo vuoto. Ricordo a malapena cosa voleva dire avere una lista operatoria di elezione e litigare coi chirurghi che volevano sforare l’orario di sala operatoria. Sembra una vita appartenuta ad un altro e vissuta secoli fa.
Ora qui il peggio sembra essere passato e insieme a quello sembra passata anche la vita oltre la morte di tanti…Monitor spenti e abbandonati, cataste di caschi cpap usati, tubi endotracheali accatastati…tutto fermo e immobile come dopo una tempesta. Verso la fine sono arrivati così tanti ventilatori polmonari nuovi di zecca che potremmo addormentare e ventilare un paese intero ma io continuo a ricordare i volti di chi non ho potuto salvare, i no che ho dovuto dire, le persone che ho rassicurato prima di addormentare e che poi ho saputo essere morte in rianimazione, senza amici e parenti, con i loro vestiti, occhiali, scarpe, cellulari messi in un sacco rosso e buttati, mentre loro entravano in un sacco nero. La foto che allego è quella di un anziano, lasciato a morire in una barella in mezzo alla spazzatura e ai carrelli, con un filo di ossigeno.
Ne ho dovuto vedere tanti così, e la mia professione se n’è andata via con loro. Non so più chi sono ora.