Arriva un paziente, lo ingressi.
Trasferisci un paziente.
Vai avanti.
Arriva un altro paziente, lo ingressi.
Trasferisci un paziente.
Vai avanti.
Arriva un altro paziente ancora, lo ingressi.
Trasferi… e così ancora e ancora.
Ah no.
Un paziente perde la vita.
Così nel caos di un reparto che gira e rigira, un’anima va via e nessuno se n’è reso conto. Manco il vicino di letto, perché anche lui sta male.
Va via nel silenzio di macchinari che suonano e di persone che passano davanti alla stanza e non hanno il tempo di fermarsi e di pazienti che dalle altre stanze si lamentano.
Poi entri nella stanza solo per un attimo e vedi questo paziente verde in volto, con chiazze rosse alle estremità degli arti.
‘Ah è morto’. Ma lo sapevamo che sarebbe successo.
Non hai neanche il tempo di fare una preghiera perché devi liberare il letto per un nuovo ingresso.
È così questo periodo.
Nulla togliere ai cassieri, ma avverto la sensazione di essere alla cassa e passare dei prodotti alla cassa, un bip, il sistema lo prende e avanti il prossimo prodotto.
Stiamo diventando delle macchine insensibili.
Abbiamo costruito un muro per non farci male, ma quale tristezza ci pervade dentro e non lo sappiamo.
Io e la mia collega prepariamo l’ennesima salma. Lo puliamo, gli chiudiamo gli occhi, lo copriamo.
Dove si va? In una stanza, dove altri corpi sono li lasciati. Borse su borse contenenti oggetti personali lasciati vicino ai muri. Lascio il corpo ma prima una cosa che mi fa venire i brividi.
Gli lascio il campanello in mano.
Non sia mai che si svegli, che ritorni alla vita.
Anche se diciamocelo, quel campanello suona solo alle porte di un paradiso che forse non ha più posto neanche per un innocente.
Fabiana, Infermiera, 25 anni.