Non scrivo mai nulla, chi mi conosce lo sa… ma alla vigilia di questa famosa “fase 2” si affollano nella mente tanti pensieri e tanti sentimenti.
Sarà che eravamo un po’ tutti nella fase reattiva, in cui c’era poco da dire e da pensare ma tanto da fare…
Sarà che semplicemente per quello che stava succedendo e che non è ancora passato e non passerà per un bel po’, non c’erano e non ci sono parole…
Sarà che quando i ritmi si allentano e la tensione si smorza ci si ferma a pensare…ma ora riaffiorano nella testa tante immagini e pensieri.È proprio vero che chi non ha un senso affina gli altri per compensare quello mancante; noi in questi due mesi abbiamo imparato a fare tante cose: a guardare quello che prima ci limitavano a vedere, ad ascoltare quello che sentivamo e basta, a stringere e a sentire quello che soltanto toccavamo.
Abbiamo imparato a sorridere con gli occhi perché una mascherina copre i nostri volti, a riconoscerci con addosso tutoni da astronauti, a riconoscere negli occhi dell’altro la tristezza, la paura, ma anche la commozione, la speranza… a riconoscere in un timbro di voce udito in lontananza una voce amica, e dal rumore dei passi l’andatura di un collega.
Abbiamo lavorato con colleghi di altre specialità e insieme abbiamo fatto squadra in nome di un fine e di un sentire comune, abbiamo conosciuto persone che non conoscevamo e ne abbiamo composto l’immagine a pezzi: prima gli occhi (che belli gli occhi!), unica parte visibile anche attraverso occhialoni e visiere, poi la voce, a volte decisa e risoluta, altre volte rotta dal dubbio e dalla paura di decidere, poi le mani al cambio dei guanti dopo aver visitato un paziente, infine le labbra e il sorriso, nei rari momenti in cui ci si sposta la mascherina.
Abbiamo imparato a fermare il gesto quando veniva spontaneo un abbraccio, per non mettere in pericolo l’altro, per proteggerlo, per proteggerci.
Ci siamo guardati quando eravamo veramente brutti: volti stanchi, solcati da segni, occhi svuotati dalla vista di così tanta morte, mani impotenti di fronte a tanta ingiustizia, labbra in certi momenti incapaci di incresparsi in un sorriso se non aggrottando la fronte; ma ho anche pensato che, in fondo, eravamo tanto belli, perché è così bello chi si impegna per darsi da fare nonostante tutto, nonostante tanto…
E dai pezzi in cui ognuno di noi si è sentito ridotto in tanti momenti abbiamo imparato a ricomporci, perché bisogna andare avanti, rimboccarsi le maniche (in senso figurato!), cercare di curare, far respirare.
Abbiamo imparato che il “Come stai?” rivolto ad un collega ad inizio turno può non essere un convenevole, che un “Ce la facciamo” può darti la forza necessaria ad affrontare una giornata, che un “Oggi meglio” può significare speranza.
Abbiamo imparato a raccontare bugie per non far preoccupare chi ci aspetta a casa ed è terrorizzato dalle immagini viste in televisione: “Tranquilli, tutto bene, sto bene”; a nascondere loro quanto siamo terrorizzati al pensiero che i drammi a cui assistiamo ogni giorno, e in cui siamo dentro fino ai capelli, possano toccare i nostri cari, anche loro…: “Non uscite, state in casa! La spesa? Una volta a settimana. Le mascherine? Le ordiniamo su Amazon!”.
E ora che la tensione si allenta ma il nemico è ancora presente, minaccioso ed invadente, non posso non pensare a tutto questo, perché fa ancora tutto così male…e la mente cerca di scacciare la paura che tutto questo possa ricominciare per fretta, per imprudenza, per stanchezza.
“Non respira”
“Aumenta l’ossigeno”
“Mettiamoli un casco“
“Va intubato”
“Da non rianimare”
Ragionare, fermare il gesto, respirare, far respirare…
Con questo pensiero credo di interpretare i sentimenti dei miei compagni di viaggio, a cui penso quando leggo queste parole di Hemingway: “ Le guerre sono combattute dalla più bella gente che c’è, o diciamo pure soltanto dalla gente, per quanto, quanto più ci si avvicina a dove si combatte è tanto più bella la gente che si incontra”.
Non un post di polemica ma di riflessione, perché non credo che quando tutto questo sarà finito (perché finirà!) saremo migliori, ma mi auguro soltanto che non dimenticheremo…noi che eravamo qui e abbiamo visto questo, non dimenticheremo sicuro.
A tutti noi che ci siamo sentiti come Bergamo, feriti, svuotati, lacerati.
Ai miei Colleghi, ai nostri Infermieri ed Oss, splendidi, instancabili
Ai nostri pazienti in cui, più che mai, abbiamo riconosciuto un nonno, un padre, un fratello Alla mia famiglia, tanto paziente…
Grazie